In uno degli articoli precedenti (L’esportazione della lobbycrazia) abbiamo parlato di come, le lobby cinematografiche e discografiche statunitensi, avessero sottoposto le proprie considerazioni all’ Office of the United States Trade Representative (USTR), per la redazione dello Special 301 del 2012, documento annuale statunitense dove vengono discusse le presunte violazioni di copyright, brevetti e marchi a danno di società statunitensi nel resto del mondo. Anche l’Italia aveva un paragrafo a lei dedicato dove, fra le varie considerazioni e programmi si poteva leggere: Completare gli sforzi per l’adozione del regolamento proposto dall’AGCOM. Su questo punto, ultimamente, il dibattito si è particolarmente infiammato, vista anche la prossima fine del mandato (19 Maggio) dei vertici dell’authority per le garanzie nelle comunicazioni.

I fatti

I vertici dell’ AGCOM, guidati da Calabrò, accortisi con colpevole ritardo della prossima scadenza del proprio mandato, e, probabilmente, in balia di promesse non ancora mantenute e pressioni sempre più forti, hanno deciso, nonostante il tempo risicato e il livello di urgenza obiettivamente piuttosto basso, di provare a dare comunque un’ultima accelerata all’approvazione del regolamento sul diritto d’autore online. In questa frenesia da ultima spiaggia, difficilmente comprensibile, si è anche aggravata, gioco forza, la questione sulle comptenze e sui poteri necessari all’AGCOM per implementare le misure regolamentari sulle quali ha lavorato, che sembrano mancare. Questa situazione ha spinto Calabrò a richiedere, più o meno direttamente, l’intervento del Governo, per porre rimedio e mettere una pezza a questa incompetenza di fondo. A questo riguardo ci sono solo indiscrezioni e bozze uscite in via del tutto non ufficiale dal Governo ma, il rischio, sembra quello di un provvedimento del Governo in grado di trasformare l’AGCOM in un soggetto con poteri legislativi, esecutivi e giudiziari riguardo al diritto d’autore online, con tutte le conseguenze che ne seguirebbero.

Il regolamento

I contenuti del regolamento, oggetto di discussione già dalla fine del 2010, e di cui ci eravamo già occupati in passato (La morbosa difesa politica del diritto d’autore online), sono, difatto, sempre gli stessi. L’impostazione di base, che poi ne determina anche tutte le critiche, è quella secondo la quale la tutela della libertà di espressione e di fruizione di contenuti e informazione online possa e debba essere sacrificata, senza adeguate garanzie e sistema di contrappesi, nei casi in cui essa vada in conflitto, anche indirettamente e con danni quantomeno dubbi, con gli interessi dei titolari originari dei diritti di sfruttamento economico di opere. L’implementazione di questa impostazione ideologica, comporterebbe, appunto, la necessità di sopperire alla mancanza di adeguate garanzie e contrappesi, con una investitura dall’alto che darebbe all’ AGCOM la possibilità di sorvolare su queste gravi lacune.

In questa ottica, si rischierebbe di soffocare uno strumento di comunicazione come Internet, che ha raggiunto standard di libertà di espressione completamente inimmaginabili soltanto pochi decenni fa.

Violazione dei diritti umani?

Nella dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, promossa dalle Nazioni Unite a seguito delle tragedie della seconda guerra mondiale e, citato come esempio di codice etico da tutti gli stati che amano definirsi democratici e moderni, all’articolo 19, dedicato alla libertà di espressione e opinione, si può leggere:

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

La seconda parte dell’articolo, sull’utilizzo dei mezzi per la ricezione, la ricerca e la diffusione di informazioni, riesce, meglio di ogni altro ragionamento e riflessione, a sintetizzare la gravità della situazione e il rischio concreto che la libertà di espressione e informazione sta correndo in questo periodo, non solo a livello italiano, ma che si inserisce in un preoccupante trend mondiale guidato e presieduto più o meno velatamente dalle lobby statunitensi e dai loro appoggi politici.