I social network sono il fiore all’occhiello e il cavallo di battaglia della rivoluzione del Web 2.0, che sono stati in grado di avvicinare una grande quantità di nuovi utenti ad un utilizzo piuttosto pervasivo di Internet e del Web, che proprio quest’anno festeggia i suoi primi 20 anni. Ma con le proprie dinamiche e l’utilizzo che ne fanno la maggior parte degli utenti, quello dei social network, rischia di non essere altro che una trasposizione, in alcuni casi anche peggiore, di dinamiche di alienazione sociale presenti nella realtà, oltre che, simmetricamente, a correre il concreto rischio di conformare, sminuire e avvilire il potente potere sociale e aggregante che Internet e il Web hanno sempre dimostrato. Il tutto al netto di tematiche come le violazioni della privacy e del massiccio marketing pubblicitario di cui sono oggetto e bersaglio gli utenti di questi servizi.

Il casual social

Quello che io definisco casual social, è un insieme di comportamenti, particolarmente diffusi fra gli utenti dei maggiori social network. Comportamenti sociali estremamente superficiali che si limitano, nella maggior parte di casi, alla casualità delle informazioni e alle apparenze. Un termine di paragone, che può risultare utile alla comprensione, è quello con il mondo del casual gaming, ovvero di tutti quei giochi e videogiochi che hanno dinamiche estremamente semplificate, che possono essere goduti e apprezzati fin da subito e in qualsiasi piccolo momento di tempo libero, senza la necessità di leggere manuali, apprendere complicate regole o impegnarsi eccessivamente. Trattandosi di intrattenimento allo stato puro, un approccio di questo tipo è comprensibile e non particolarmente dannoso. In un contesto sociale, invece, un approccio di questo tipo, risulta molto più dannoso e controproducente per i singoli e per la società. Sui social network, troppo spesso, sia per fattori culturali che tecnici, risulta difficile, anche qualora non manchi la volontà, una qualsiasi forma di approfondimento verso una persona o verso un argomento: tutto si risolve o in una serie di richieste di amicizia insensate di tipo collezionistico, o in un atteggiamento voyeuristico verso foto e pensieri, senza nessun interesse al loro significato, o in una serie senza fine di commenti, alcuni senza senso o fuori argomento.

C’erano una volta mailing list e forum

Da questo punto di vista, due mezzi di discussione e di socialità più antiquati, tecnologicamente e cronologicamente parlando, hanno molto da insegnare per quanto riguarda il lato sociale ai moderni social network. Con questi strumenti di comunicazione, vuoi per la loro specificità verso particolari argomenti, che si riflette strettamente nell’interesse e nella preparazione dei propri utilizzatori, vuoi per la dimensione più contenuta in termini di parco utenti, è molto più semplice trovare, riuscire a seguire, formulare e condurre in piena autonomia discussioni che vadano oltre alle apparenze e che siano in grado di produrre aggregazione e socialità nel senso più alto del termine. Sicuramente c’è da pagare un prezzo in termini di interattività, estetica e funzionalità rispetto ai canoni odierni, ma si è in grado di tenere per lo più inalterato il fine e lo spirito di questi strumenti: la discussione e la socialità. Da uno strumento che voglia unire l’aggregazione delle reti alla consivisione della socialità, ci aspetteremo quantomeno altrettanto. Per dirla con le parole usate dall’ideatore del web, Tim Berners-Lee, recentemente intervistato in occasione della sua partecipazione all’evento romano Happy Birthday Web per festeggiare i venti anni del web:

Sono molto contento della quantità incredibile di cose successe, ma purtroppo non vedo tanta gente che usa il Web in modo efficace per realizzare nuove idee. Internet è nato come piattaforma per lavorare insieme, e invece quasi tutti si limitano a usarlo per leggere e basta. Evidentemente gli strumenti di collaborazione che abbiamo non sono ancora adeguati e, aggiungerei io, anche il contesto sociale e culturale.

Nuovi mezzi di alienazione crescono

In ultima analisi, si corre il rischio che le persone diventino ne più ne meno che utenti, profili, “amici” da aggiungere alla propria collezione, spacciatori e segnalatori di video e notizie buffe e curiose, protagonisti di pensieri e foto da consumare, il tutto condito e amalgamato in un unico calderone, dove diventa difficile, se non impossibile, contestualizzare e dove viene la tentazione di abbandonare la facoltà di scegliere a cosa interessarsi e chi seguire e affidarsi ciecamente e fiduciosamente al sistema, che ci rifornisce con puntualità e precisione di fatti e informazioni altrui, come un pusher che crea danni e dipendenza nei propri clienti, con estrema disponibilità e affabilità. E’ questa dipendenza ci spinge, a tratti ci costringe, compulsivamente e freneticamente. Ecco allora che si rischia concretamente che dinamiche di mercificazione e di alienazione, di cui si dibatte e si è a lungo dibattuto nella nostra società reale, cambiando mezzi di diffusione e vestendosi e giustificandosi di sociale, possano continuare a ricalcare e ripropporre schemi già visti e continuare a esercitare le proprie pressioni, più o meno velate, sulle coscienze delle persone, che in questo processo sono tutt’altro che innocenti.