Più o menu un anno fa, su queste pagine, avevo scritto un articolo riguardante il [caso Megaupload]{{filename}takeone.md)} e il rapporto piuttosto morboso della più grande lobbycrazia del mondo su tematiche come l’accesso e la liberazione della cultura e le nuove tecnologie in relazione alle tematiche del copyright e dei diritti digitali. Ad un anno di distanza, se possibile, le cose sembrano immutate, se non addirittura peggiorate. Lo scorso 11 gennaio, è stato trovato morto (suicida) nel suo appartamento newyorkese, all’età di 26 anni, Aaron Swartz, hacktivista e intellettuale statunitense.

Aaron

Su chi era Aaron si trovano (per fortuna) in rete tantissime informazioni. Per inquadrare il personaggio ottimi punti di partenza sono la sua pagina su Wikipedia (di cui era anche redattore) e la sua pagina personale. In estrema sintesi, nella sua breve ma brillante vita, si è distinto per: avere collaborato all’eta di 14 anni al gruppo W3C responsabile della versione 1.0 della specifica RSS, aver fondato la startup informatica Infogami successivamente confluita e acquisita da Reddit e aver collaborato e fatto ricerca con il gruppo di lavoro del giurista Lawrence Lessig, partecipando attivamente alla stesura del testo delle licenze Creative Commons. Dotato di ottime skill informatiche, si è sempre battuto per il bene pubblico (lo stesso bene pubblico su cui la costituzione statunitense costruisce l’intero impianto, struttura e motivazione del copyright), soprattutto nei suoi aspetti di libero accesso all’ informazione pubblica e di interesse pubblico. Alcuni suoi progetti come Open Library e DemandProgress ne rimangono come chiare e indelebili testimonianze a futura memoria. Questa vocazione lo ha reso particolarmente attivo nella lotta contro SOPA.

La vicenda

Nel portare avanti i propri ideali, nel 2009, Aaron, scaricò dal PACER, il database della corte federale statunitense, circa il 20% dei documenti legali disponibili e li rese disponibili gratuitamente. Documenti pubblici il cui accesso non era però disponibile gratuitamente, a causa di millantati e probabilmente gonfiati costi di gestione dell’infrastruttura. Per questo fu messo sotto inchiesta dal FBI, che successivamente lasciò cadere le accuse.

Questo fu solo il preludio all’azione che ha causato buona parte dei suoi problemi legali e personali, legati alla liberazione delle pubblicazioni accademiche presenti sul JSTOR. Il JSTOR è una organizzazione che gestisce una vasta libreria digitale dove sono disponibili articoli, ricerche e libri di carattere accademico, di chiaro interesse pubblico ma, ad accesso ristretto a pochi e in base a costosi canoni di accesso. A cavallo fra il 2010 e il 2011 Aaron, che in quanto membro della facoltà di Harward era in regolare possesso di un account per accedere al JSTOR, sfruttando la rete fornita dal MIT, effettuò un download di massa di numerosi documenti, con l’intenzione di liberarli. Per questa azione fu accusato di aver perpetrato frodi informatiche (in relazione al presunto accesso illegale alla rete informatica del MIT e ad alcuni presunti crash causati su alcuni server del JSTOR). In seguito alle accuse fu arrestato e poi rilasciato su cauzione. Dopo aver restituito tutti i documenti scaricati, il JSTOR lascia morire la cosa mentre il MIT rimane in silenzio. Poco prima della morte, lo stesso JSTOR adotterà una politica di liberazione, seppur limitata, dei propri archivi digitali.

La causa viene però intentata dal governo americano, a mezzo del giudice Carmen Ortiz, con richieste del tutto inverosimili e inappropriate, qualcosa come 35 anni di carcere e fino ad un milione di dollari di risarcimento. Fin da subito risulta evidente l’ intento intimidatorio e la volontà di farne un caso esemplare.

Lo scorso 11 gennaio Aaron si toglie la vita.

Le considerazioni

Se una cosa è pubblica (come i documenti del PACER) o è di interesse pubblico (come le pubblicazioni accademiche del JSTOR) come suggeriscono, non a caso, gli aggettivi, dovrebbe essere anche ad accesso pubblico e gli eventuali costi dovrebbero essere esclusivamente giustificati e strettamente commisurati ai costi di gestione, senza mai dimenticare che non si tratta di servizi privati legati al profitto ma di servizi pubblici legati al bene comune. La politica di chiusura delle informazioni, tanto cara a certi modelli autocratici e a certi modelli economici, particolarmente in voga negli ultimi secoli, è una cosa amorale, ingiusta e intollerabile. Certo, i mezzi per portare alla luce e battere questa tendenza fanno la differenza e, probabilmente, quelli usati da Aaron, come lo stesso Lessig ammette, non sono stati i più appropriati e lo hanno esposto alla mercé dell’istinto di controllo globale statunitense, foraggiato dal denaro delle lobby. A questo punto però il dubbio nasce spontaneo, c’erano altri mezzi? Sicuramente sì; ma c’erano altri mezzi validi?

Un giovane ventenne idealista credeva di no e, pur avendo pagato con la propria vita, ha innescato una serie di reazioni a catena che se da una parte ha acuito la voglia di tecno-controllo dei soliti noti, dall’altra ha contribuito a svegliare e indignare, speriamo non solo temporaneamente, le coscienze di molti.