In questo periodo, parlare di lavorare troppo, può risultare di cattivo gusto e inappropriato, soprattutto visto il periodo di crisi economica piuttosto importante che stiamo attraversando e che vede milioni di persone in cerca di un’occupazione. Persone che farebbero carte false per lavorare, non solo 40 ore, ma anche molte di più, per riuscire a sbarcare il lunario. Nonostante questo mi sono imbattuto in un brillante articolo: Your Lifestyle Has Already Been Designed, che suona più o meno come il tuo stile di vita è già stato deciso, in cui, fra le altre cose, si analizza il perché, nonostante tutto, continua a sopravvivere, non a caso soprattutto nel mondo occidentale, il mito e il vincolo delle 40 ore lavorative settimanali.

C’era una volta la rivoluzione industriale

L’orario di lavoro di 8 ore giornaliere è stata, senza dubbio, una conquista che ha richiesto anni e anni di lotte sindacali e una faticosa formazione culturale sui diritti dei lavoratori, che si è messa in moto in seguito all’avvento della rivoluzione industriale nel diciannovesimo secolo. Ai tempi, nell’immediato della rivoluzione industriale, ma anche dopo, si parlava di orari di lavoro ben più cospicui, nell’ordine anche delle 15 ore giornaliere, se non di più. Arrivati al limite delle 8 ore però, nonostante la società e la tecnologia si siano notevolmente evolute aumentando la produttività oraria, non c’è stata, a fare da contraltare, una relativa diminuzione dell’orario di lavoro, nonostante si riesca a produrre la stessa quantità in una frazione del tempo. Senza considerare che, su quelle 8 ore, le ore effettive di lavoro difficilmente corrispondono a quelle formali.

Il tempo è denaro

Questo vincolo orario mette il lavoratore in una condizione in cui il tempo libero da dedicare a sé stesso, alle proprie passioni e ai propri cari è piuttosto limitato. L’autore dell’articolo originale, come altri che sono giunti alle stesse conclusioni (me compreso), si rende conto di questa situazione, bruscamente e improvvisamente, quando si trova a ritornare alla routine quotidiana, comune a milioni di lavoratori occidentali. Questo in seguito e, in netto contrasto, ad un periodo della propria vita in cui, grazie alla possibilità di scegliere che non tutti hanno, ha potuto trascorrere un periodo di tempo in buona parte dedicato alle proprie inclinazioni, rivalutando il valore del tempo rispetto al denaro. Per una persona che ha sempre lavorato e non ha mai avuto le possibilità o la decisione o l’occasione di attraversare fasi di questo tipo, può essere molto difficile rendersi conto del meccanismo perverso in atto, dall’interno della propria routine e immerso nel contesto sociale prevalente.

Meno tempo, più denaro: speso, meglio se inutilmente

Secondo la tesi dell’articolo originale, che condivido in pieno, il mantenimento delle 40 ore settimanali nel mondo occidentale, deriva da un preciso calcolo economico e di convenienza delle grandi aziende multinazionali e corporazioni che governano l’attuale economia. Privando le persone di tempo libero, magari alienandole, stressandole e rendendole insoddisfatte, si instaura una condizione in cui la gratificazione personale, non potendosi esprimere, per mancanza di tempo, attraverso le proprie passioni e interessi, è costretta inevitabilmente a prendere vie alternative. E così, la gratificazione personale, aiutata da una serie di stimoli e convenzioni create, instaurate e diffuse ad hoc, viene convogliata verso l’acquisto di oggetti inutili, costosi ma ben pubblicizzati e “di tendenza” che, solo apparentemente e superficialmente, possono sopperire al senso di insoddisfazione. La mancanza di tempo viene così sapientemente trasformata in mancanza di beni, e, se non si può recuperare il tempo, si può però avere facilmente, pagando, accesso a tutto quello che siamo indotti a credere ci manchi, quando non ci rendiamo conto che l’unica cosa che ci manca, e di cui ci hanno privato, è il nostro tempo.