Quello in cui viviamo, è un periodo molto attivo, a livello di pressioni effettuate sui governi di molti stati da parte delle lobby degli editori che, rischiano, a causa dell’evoluzione tecnologica dei mezzi di pubblicazione e distribuzione, di veder stroncati molti dei privilegi economici acquisiti nel corso degli anni e, ormai, totalmente immotivati. Di casi di questo genere, in Italia, ci siamo occupati poco tempo fa (La morbosa difesa politica del diritto d’autore online mentre, in questo periodo, il dibattito online è piuttosto attivo su due proposte di legge statunitensi: il Protect Intelletual Property Act e lo Stop Online Privacy Act, che vorrebbero andare a rimpolpare, ancor più sostanziosamente, il Digital Millenium Copyright Act del 1998 e il PRO-IP Act del 2008, già di per se molto discutibili. Senza entrare nel merito dei provvedimenti, è curioso notare come il copyright stia ritornando prepotentemente, più o meno direttamente, alle sue origini: la censura.

Copyright e diritto d’autore

Con copyright, letteralmente diritto di copia, si intende l’equivalente dei paesi anglosassioni con ordinamento giuridico common law, del diritto d’autore, usato dai paesi con ordinamento giuridico civil law, come la quasi totalità dei paesi europei, inclusa l’Italia. Questa però non è un equivalenza completa in quanto il diritto d’autore consta di due parti distinte: i diritti morali e i diritti partimoniali di sfruttamento economico. Invece il copyright, pur con alcune differenze di sostanza, copre totalmente la questione dello sfruttamento economico mentre copre solo parzialmente la questione morale legata alla creazione e alla paternità di un’opera, lasciando la questione per lo più indefinità e sottointesa.

La nascita del copyright

La nascita del copyright, comunemente accettata dagli storici, risale alla monarchia inglese del XVI secolo, in un contesto culturale piuttosto stimolante e vivo per gli autori e la popolazione che, grazie alla diffusione delle prime macchine da stampa che implementavano l’evoluzione tecnologica della stampa a caratteri mobili, si trovavano, per la prima volta nella storia, nella condizione di proporre e accedere liberamente a contenuti di qualsiasi tipo con una relativa facilità. Questa libera circolazione delle idee fu vista come un concreto pericolo da parte del governo che, nell’intenzione di controllare e regolare questo vivace flusso di contenuti potenzialmente pericolosi per la stabilità pubblica, procedette alla creazione della London Company of Stationers. Questa corporazione riuniva al suo interno i librai di Londra, coloro erano dotati dei mezzi per procedere alla stampa, ai quali fu concessa l’esclusiva, il diritto e il privilegio economico, per la stampa di tutte le opere pubblicate in Inghilterra, in cambio di un’attenta selezione e censura su cosa pubblicare.

La prima lobby: stesse dinamiche odierne

Intorno alla fine del diciassettesimo secolo, dopo circa un secolo e mezzo del sistema guadagna ma censura, per il governo inglese vennero meno esigenze di controllo e censura sulle stampe, cosicchè non si vide la convenienza di continuare a garantire un monopolio agli editori in cambio di niente. Fiutato il pericolo, forse quella che possiamo identificare storicamente come la prima lobby degli editori, per difendere la propria posizione di convenienza, chiamarono in causa, per la prima volta e in maniera del tutto strumentale, gli autori, basando l’intera strategia di lobbying sulla necessità di questi ultimi di accedere ai mezzi di stampa per diffondere le proprie opere e di vedere difesi i diritti connessi alla produzione di opere. Di fatto non si fece altro che cercare di intenerire l’opinione pubblica e il parlamento, inventandosii un nuovo motivo, addirittura anche più simpatico della censura, ergendosi a paladini dei poveri autori, per continuare a garantirsi una posizione di favore economico. Da questa mossa di lobbying, nel 1710, nacque lo Statuto di Anna, eletto e celebrato come la prima forma legislativa in materia di copyright e di protezione degli autori.

Il cortocircuito, chiaro segno di inadeguatezza

E’ molto curioso, preoccupante, ma anche piuttosto esemplicativo, notare come, nonostante più di 300 anni siano passati e l’evoluzione tecnologica odierna abbia di fatto spazzato via qualsiasi scusa, anche la più incredibile, legata al problema della produzione e distribuzione di opere, oltre ad esserci le solite dinamiche di lobbying, la solita strumentale retorica in difesa degli autori e la solita posizione economica di privilegio da difendere, si stia addirittura ritornando in maniera nemmeno troppo velata alla censura. Quella che all’inizio della propria storia è stata una delle cause principali che ha generato, ma successivamente ha abbandonato, il copyright, rischia di ritornare come conseguenza e mezzo di difesa di quell’impianto triviale, retorico e arcaico, a cui ha contribuito, in maniera fondamentale, a dare la luce.